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dichiarazione-fallimento

Alla dichiarazione di fallimento si giunge attraverso un procedimento giuiziario che può essere avviato sia dai creditori dell’imprenditore insolvente, che dal Pubblico Ministero. Il tribunale fallimentare del luogo ove ha sede l’impresa valuterà gli elementi raccolti dalle parti e deciderà sul se dichiarare o meno il fallimento.
La modifica più recente introdotta nella legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942 n. 267) è riscontrabile nel D.l.gs n.169/2007.
Prima di tale decreto erano esclusi dalla categoria di imprenditori fallibili, oltre agli imprenditori agricoli e agli enti pubblici, anche i piccoli imprenditori commerciali. Oggi, grazie alle modifiche apportate alla legge fallimentare, sono considerati fallibili anche i piccoli imprenditori commerciali, non più richiamati dalla legge tra i soggetti esclusi.
Il nuovo articolo 1 della legge fallimentare stabilisce tre requisiti il cui possesso congiunto esenta dal fallimento; chi li possiede, dunque, non può essere dichiarato fallito.
I requisiti richiesti dalla legge sono:
1) aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore) un attivo patrimoniale annuo non superiore a trecentomila Euro.
2) aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore) ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila Euro.
3) avere un ammontare di debiti (nche non scaduti) non superiore a cinquecentomila Euro.

Per poter essere dichiarati falliti, oltre a non aver provato il possesso congiunto dei tre requisiti, bisogna versare in uno stato di insolvenza, vale a dire essere nella situazione in cui l’imprenditore non riesce a soddisfare regolarmente le sue obbligazioni. Lo stato di insolvenza, inoltre, deve essere definitivo e non temporaneo.
Una volta avviata la procedura di fallimento, questa potrà arrestarsi se si scopre (in sede di istruttoria prefallimentare) che l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati è complessivamente inferiore a trentamila euro.

Si può concludere che con la sentenza di fallimento, il creditore che inoltra l’istanza, oltre che realizzare un proprio diritto (che è comunque già garantito dalla possibilità, per lui, di attivare l’esecuzione individuale) ottiene il diritto anche degli altri creditori partecipati (che viene garantito grazie a strumenti come la revocatoria, azioni di responsabilità, azioni penali nel caso di bancarotta, ecc..). In questo caso, il creditore istante esercita una vera e propria funzione pubblica a tutela del suo credito e di tutti i creditori concorrenti.

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